Decreto Sviluppo, l’appello di Inu e Legambiente
Dopo l’approvazione alla Camera, è domani al Senato il definitivo via libera al Decreto Sviluppo e in particolare ad alcuni provvedimenti che aprono uno scenario di grande preoccupazione per il patrimonio paesaggistico e architettonico del Belpaese.
La Camera non ha, infatti, accolto nessun emendamento che ponesse un freno ad alcuni degli aspetti più gravi del Decreto Sviluppo.
Legambiente e INU hanno lanciato quindi un appello alle istituzioni e scritto al Presidente del Senato Schifani oltre che ai Capogruppo dei partiti, affinché il Decreto venga modificato in modo da non permettere lo scempio del paesaggio italiano e del patrimonio culturale delle nostre città.
“Dopo l’introduzione della Dia e la successiva ulteriore semplificazione con la Scia – sottolinea il presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica Federico Oliva – si compie un ultimo passaggio col silenzio assenso anche per le operazioni edilizie più complesse, quelle fino ad oggi soggette a permesso di costruire, e senza intervenire rispetto alle sanzioni o al rapporto con il Testo unico per l’edilizia.
Ma è invece pericolosissimo allargare il silenzio assenso ad ogni contesto, perché sono troppe le situazioni di Comuni ancora senza piani regolatori di nuova generazione o provviste di regolamentazione con indicazioni generiche,col rischio di trasformare il territorio in un coacervo di interventi privi di un disegno organico, che aggraverà il rischio idrogeologico, oltre ad allargare le maglie all’abusivismo senza dare alcuna risposta alla richiesta di certezze che viene da cittadini, progettisti e imprese”.
Ma forse – continua l’appello delle due associazioni – ancora più gravi sono le modifiche previste al Codice dei beni culturali e del Paesaggio con l’estensione da 50 a 70 anni della soglia temporale per la quale è possibile sottoporre il patrimonio immobiliare pubblico o di enti no profit ad accertamenti per verificarne il grado di interesse culturale, per accelerare le procedure di realizzazione delle opere pubbliche e dare massima attuazione al federalismo demaniale.
In pratica, evitando problemi dovuti alla presenza di un vincolo o alla possibilità che il Ministero dei Beni culturali possa in qualche modo intervenire.
Altra modifica è quella che abolisce un obbligo previsto sin dai tempi della Legge Bottai (la 1089/1939) per cui doveva essere informato il Ministero di qualsiasi trasferimento della proprietà dei beni vincolati: l’amministrazione così non avrà più alcuna informazione su chi ha materialmente disponibilità di un bene vincolato, e quindi è responsabile del rispetto delle regole di corretta conservazione dello stesso.
Infine, la terza modifica riguarda il parere che il Soprintendente è chiamato a dare per gli interventi da attuarsi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, che passerà da vincolante a obbligatorio con silenzio-assenso dopo 90 giorni dalla ricezione del progetto, una volta che le Regioni abbiano provveduto a rivedere, d’intesa con le Soprintendenze, le loro pianificazioni paesistiche per adeguarle alle nuove prescrizioni dettate dal Codice in materia.
Ma anche i provvedimenti che vorrebbero spingere la riqualificazione urbana, risultano pericolosi. Sono, infatti, riproposte misure che hanno già dimostrato tutta la loro inefficacia con il fallimento del cosiddetto “piano casa” varato dal Governo nel 2009.
Le misure di incentivazione volumetrica vengono riproposte allargandole ad ogni funzione al di fuori di qualsiasi pianificazione comunale se da realizzarsi in aree urbane degradate con deroghe che non fanno che aggrovigliare ulteriormente la giungla normativa e rischiano di ostacolare piuttosto che favorire gli interventi auspicati.
Il giusto obiettivo di un sostegno agli interventi di demolizione e ricostruzione viene introdotto in una legislazione speciale con una ennesima invasione di campo nelle competenze regionali, quando invece si attende da tempo un intervento legislativo per rendere finalmente possibili incisivi interventi di recupero dei tessuti urbani, di riqualificazione per migliorare la qualità degli edifici e dello spazio pubblico, quali il sostegno giuridico alla legislazione regionale in materia di perequazione e compensazione urbanistica e la regolazione delle nuove forme di finanziamento di infrastrutture e opere pubbliche previste dai piani.
“Chiediamo dunque che nel passaggio del provvedimento al Senato le parti che riguardano gli argomenti sopra menzionati siano stralciate – ha ribadito il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -, e che quanto prima si apra un confronto sulla riqualificazione del patrimonio edilizio e delle città italiane che coinvolga Regioni e Comuni e i diversi interlocutori indispensabili a individuare la strada più efficace per uscire dalla gravissima crisi del settore delle costruzioni nel nostro Paese”.
“Siamo pronti a fornire il nostro contributo – conclude l’appello -, perché convinti che oggi si debba promuovere una profonda innovazione che abbia al centro gli obiettivi che riguardano il clima e la riduzione dei consumi energetici nelle abitazioni – come ci impongono le direttive europee – e la messa in sicurezza statica degli edifici, come purtroppo ci ricordano periodicamente le vicende che si susseguono nel territorio italiano.
E che in questa prospettiva sia necessario, da un lato, dare certezze per la tutela del patrimonio paesaggistico italiano e, dall’altro, muovere finalmente verso una diffusa rigenerazione delle aree urbane che riesca a restituire condizioni di vivibilità e sostenibilità, innestando nuova qualità e bellezza attraverso l’architettura”.
Tra i primi firmatari dell’appello, oltre a Vittorio Cogliati Dezza, Presidente Legambiente e Federico Oliva, Presidente Istituto Nazionale di Urbanistica, Angela Barbanente, Assessore all’urbanistica Regione Puglia, Anna Marson, Assessore all’urbanistica Regione Toscana, Walter Veltroni, ex Ministro per i beni e le attività culturali e Salvatore Settis, ex Presidente Consiglio superiore Beni culturali e Rettore Normale di Pisa
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