Urbanistica: autorizzazione paesaggistica
Ok all’autorizzazione paesaggistica in sanatoria. Lo ha stabilito il Tar di Brescia che con la sentenza n. 317/2008 ha accolto il ricorso di una società contro l’ordinanza di demolizione di opere abusive realizzate all’interno di una fascia di rispetto fluviale.
Il fatto
Un’azienda, proprietaria di uno stabilimento produttivo, ha realizzato abusivamente una copertura metallica di grandi dimensioni su un terreno di sua proprietà adiacente allo stabilimento e un muro di recinzione e una struttura metallica di appoggio per la copertura, portando così ad un ampliamento del capannone industriale di oltree 350 metri quadrati.
Le opere abusive sono state edificate su un’area classificata come D1 (produttiva), ma per quasi 50 metri quadrati le opere ricadono anche in zona sottoposta a vincolo ambientale ai sensi dell’art. 142 comma 1 lett. c) del Dlgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (fascia di rispetto fluviale di 150 metri).
L’art. 32 delle NTA del PRG ammette però in zona D1 l’aumento fino al 10% della superficie coperta esistente alla data di adozione del PRG, previa stipula di una convenzione con il Comune che preveda “miglioramenti qualitativi dell’insediamento produttivo quali la riduzione dell’impatto ambientale nonché la cessione di aree o la realizzazione di opere finalizzate all’interesse pubblico”.
La società, dopo l’ordine di sospensione dei lavori, ha presentato domanda di sanatoria ai sensi dell’art. 36 del DPR 380/2001. Ma, prima della conclusione del procedimento, il Comune ha ordinato di demolire le opere abusive realizzate nella fascia di rispetto fluviale, precisando che, in seguito alla remissione in pristino dello stato dei luoghi, la società avrebbe potuto ottenere l’autorizzazione paesistica per realizzare nuovamente le opere demolite.
La convenzione con il Comune
Infatti il Comune e la Società hanno stipulato in seguito una convenzione che accerta la conformità urbanistico-edilizia di tutte le opere abusive e la difformità sotto il profilo ambientale delle opere posizionate sull’area nella fascia di rispetto fluviale. Nella convenzione si afferma per quest’ultima che, essendo mancata la preventiva autorizzazione paesistica, l’assenso sotto il profilo urbanistico-edilizio potrà essere rilasciato solo dopo il ripristino dello stato dei luoghi ai sensi dell’art. 167 del Dlgs. 42/2004.
Per ottenere il permesso di costruire in sanatoria l’impresa è stata obbligata a realizzare le opere di pavimentazione e illuminazione di un tratto della strada del Solecchio, a introdurre miglioramenti qualitativi dell’insediamento produttivo, a versare un importo a conguaglio degli oneri di urbanizzazione e a prestare garanzia mediante polizza fideiussoria.
Inoltre ha ottenuto il permesso di costruire in sanatoria soltanto per le opere non ricadenti nella fascia di rispetto fluviale, mentre per le altre permane l’obbligo di demolizione quale condizione per ottenere in seguito un titolo edilizio. La Società ha quindi impugnato l’ordinanza di demolizione evidenziando il contrasto tra essa e la convenzione.
La decisione del Tar
I giudici del Tar di Brescia hanno condiviso le ragioni della Società osservando che una parte delle opere abusive ha effettivamente invaso la fascia di rispetto fluviale, dando luogo ad un abuso che non rientra nei casi di autorizzazione paesistica in sanatoria previsti dall’art. 167 comma 4 del Dlgs. 42/2004, in deroga al divieto di cui all’art. 146 comma 12 del Dlgs. 42/2004.
Seconod i giudici la vigente normativa sull’autorizzazione dell’art. 146 comma 12 e dell’art. 167 comma 4 del Dlgs. 42/2004 è particolarmente severa, poichè esclude la sanatoria ambientale per le opere non preventivamente assentite, con l’eccezione di alcune fattispecie marginali.
Ma, tuttavia, la stessa normativa presuppone che si confrontino l’interesse pubblico all’utilizzazione controllata del territorio e l’interesse del privato alla sanatoria. In generale l’interesse pubblico e lo stato dei luoghi deve essere ripristinato, ma la situazione cambia se dall’attività edilizia oggetto di sanatoria deriva un vantaggio ambientale (come l’assunzione di oneri da parte del privato per migliorare le infrastrutture pubbliche o gli standard urbanistici, o l’impegno del privato a svolgere un’attività produttiva già insediata secondo criteri ispirati a una maggiore sensibilità ambientale).
La sentenza del Tar in conclusione ha stabilito che se il privato è disposto ad assumere oneri specifici per migliorare la situazione ambientale, e se è accertato che dalle opere abusive non può derivare alcun danno collaterale all’ambiente, l’ordine di demolire quale condizione necessaria per poi ottenere l’autorizzazione di opere identiche appare irragionevole.
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