Territorio: sprofondamenti nei centri urbani
A distanza di diversi mesi dal violento terremoto del 6 aprile scorso, la regione Abruzzo è ancora oggi vittima delle conseguenze dei sinkholes, localizzati ai bordi del lago Sinizzo a San Demetrio ne’
Vestini (AQ), in cui non molto tempo fa c’era un’area di gioco e ristoro per famiglie, divenuta pericolosa e impraticabile.
In diverse aree della piana aquilana (Roio Piano, Civita di Bagno, Onna), inoltre, tali depressioni del suolo sono spesso mascherate e difficilmente distinguibili per la presenza di strutture recenti ad opera umana e che andrebbero invece attentamente valutate in funzione di pianificazioni future.
Si tratta di sprofondamenti ampi anche centinaia di metri e che minacciano i centri urbani e le aree naturali, verificandosi in modo spesso improvviso e devastante. A riattivare il processo, proprio quel sisma sulle cui rovine oggi si ricostruisce.
In cima alla classifica delle città a rischio, Roma e Napoli
ma anche Cagliari e Lecce e una lunga lista di altri comuni di Lazio, Abruzzo, Toscana, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna.
I sinkholes sono fenomeni che interessano, se pur in misura diversa, l’intero territorio nazionale, costituendo fattori di rischio molto elevato, in quanto sovente caratterizzati da una rapida evoluzione (6 ore circa) che coinvolge aree urbanizzate e infrastrutture, talvolta con un costo in vite umane.
Ad innescare queste voragini, piogge copiose e fratture del suolo ma anche attività umane ed eventi sismici.
Se ne sta discutendo in questi giorni a Roma, nella sede dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), nel corso del 2° workshop internazionale “I sinkholes. Gli sprofondamenti catastrofici nell’ambiente naturale ed in quello antropizzato.
Dal dibattito, che ha visto la presenza di importanti studiosi e accademici, è emerso che i sinkholes rappresentato un fenomeno spesso poco considerato, come ha spiegato Emilio Santori, Sub
Commissario ISPRA, nel corso del suo intervento di apertura dei lavori.
“A distanza di 5 anni dal primo seminario del maggio 2004, si è ritenuto utile riaccendere l’interesse su un tema geologico, quello dei
sinkholes, sicuramente dibattuto in ambiente scientifico ma poco noto all’opinione pubblica.
Si parla molto di frane e alluvioni, ma non altrettanto di quegli sprofondamenti che, al pari di alcuni fenomeni naturali, possono essere altrettanto pericolosi per la popolazione, soprattutto qualora si verifichino in aree antropizzate”.
Il fenomeno sinkhole, infatti, non risparmia neanche centri urbani densamente popolati, come la città di Roma, sotto la cui superficie sono presenti numerosissime cavità sotterranee di origine
antropica come cave, catacombe, cunicoli idraulici, acquedotti, fognature e sotterranei di interesse archeologico.
Si tratta soprattutto di strutture costituite da depositi vulcanici litoidi o pozzolanacei e subordinatamente ghiaie e/o sabbie. Dal 1915 ad oggi, nella Capitale si sono verificati circa 100 casi di dissesto, tutti dovuti a cave sotterranee di materiali da costruzione: episodi che, oltre ai danni materiali, hanno causato non poche vittime.
Tra i quartieri oggi più a rischio, il Centro storico, il Prenestino, Tor Pignattara, l’Appio-Tuscolano, Monteverde vecchio e la zona di San Pietro.
Sprofondamenti o voragini anche in aree urbane e rurali della Puglia. Connessi sia a cavità carsiche di origine naturale che a cavità artificiali scavate dall’uomo in epoche e per finalità diverse, gli
sprofondamenti pongono seri problemi di salvaguardia del territorio e, recentemente, sono stati più volte all’attenzione dell’opinione pubblica.
Basta ricordare, in tal senso, gli eventi degli ultimi anni a
Marina di Lesina, il sinkhole di Alliste nel febbraio 2004, lo sprofondamento di Via Firenze a Gallipoli il 29 marzo 2007 e le voragini nel territorio di Altamura.
Una normativa ad hoc è stata realizzata solo dalle Regioni Lazio e Sardegna, le quali prevedono sia il monitoraggio delle aree edificate che di quelle su cui si intende costruire.
Nel primo caso, si forniscono utili informazioni alla Protezione civile, nel secondo si avviano indagini geofisiche e idrogeologiche per individuare eventuali cavità nel sottosuolo suscettibili di propagarsi in superficie.
“Il Servizio Geologico d’Italia dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – ha spiegato Leonello Serva – da alcuni anni è impegnato nella realizzazione di uno studio sistematico
degli sprofondamenti in aree di pianura, arrivando a censire circa 850 casi di sinkholes naturali, a cui
vviamente si sommano centinaia di casi di sprofondamenti antropici.
I risultati dello studio sono stati organizzati in un Database Nazionale dei Sinkholes consultabile su internet (http://sgi.apat.it/)”.
“Nel censimento – ha affermato Stefania Nisio, del Servizio Geologia Applicata ed Idrogeologia dell’ISPRA – vengono riportate le forme attive, ancora oggi visibili, quelle relitte, cioè quiescenti, e
quelle ormai ricolmate o artificialmente o naturalmente. I fenomeni censiti si concentrano principalmente sul versante tirrenico, mentre sul versante adriatico non sussistono i fattori predisponenti
ed innescanti i deep piping sinkholes”.
L’aspetto innovativo di rilievo connesso alla realizzazione del Database Nazionale è dato dall’approccio: l’oggetto della ricerca, infatti, riguarda sia la dimensione areale (non limitandosi solo
alle aree urbanizzate) che quella temporale, ricercando sia le segnalazioni più o meno recenti degli enti e delle amministrazioni locali che le fonti, le citazioni e le mappe più remote.
Al contributo della ricerca storica, infatti, capace di consentire il riconoscimento di fenomeni avvenuti nel passato, è stata dedicata una specifica sessione dei lavori del workshop.
Fonte: ISPRA
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