Recupero del sottotetto: quali distanze mantenere?
Le porzioni di edificio risultanti dal recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti devono considerarsi come nuove costruzioni, con la conseguenza che dovranno necessariamente essere collocate ad almeno 10 metri dalla parete dell’edificio antistante.
Questa è la conclusione alla quale sono giunti i giudici del T.A.R. Lombardia con la sentenza n. 902 del 5 aprile scorso fondandosi sull’indirizzo giurisprudenziale pacifico, secondo cui l’art. 9 del d.m. 1444/1968 è norma di ordine pubblico, insuscettibile di deroga negli strumenti urbanistici e nei regolamenti locali (salvo peculiari eccezioni, non riscontrabili però nel caso di specie), volta ad impedire la realizzazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico, sicché deve essere rispettata anche in caso di sopraelevazioni o di recupero di sottotetti.
Per i giudici la circostanza che gli edifici delle ricorrenti e quello oggetto dell’intervento di recupero siano tutte inserite nel medesimo condominio appare assolutamente irrilevante, tenuto conto della finalità della citata norma del DM 1444/1968, finalità di stampo pubblicistico che non può certo essere derogata per il solo fatto che esistono porzioni immobiliari comuni ai tre edifici, tali da realizzare un condominio.
Il caso
Con denuncia di inizio attività (DIA) presentata nel 2006, una società evidenziava al Comune di Milano l’esecuzione di opere di recupero del sottotetto ai fini abitativi, con modifiche anche ai piani sottostanti, sull’immobile.
Sia il Condominio sia due condomini in proprio, dopo avere presentato al Comune un esposto, impugnavano con il ricorso principale la citata DIA, per:
1) violazione dell’art. 9 del DM 2.4.1968 n. 1444, nel quale si lamenta che l’edificio realizzato con il recupero del sottotetto sarebbe collocato a distanza inferiore a 10 metri (misura prevista inderogabilmente dal citato art. 9), dagli immobili delle ricorrenti;
2) difformità dal piano territoriale paesistico regionale, approvato con DCR 6.3.2001 n. 43749;
3) violazione dell’art. 23 comma 1 del DPR 380/2001, dell’art. 41 della LR 12/2005 e difetto di legittimazione della società alla presentazione della DIA, ove si sostiene che il tetto del fabbricato, asserito di proprietà esclusiva della società stessa, sarebbe in realtà di proprietà comune;
4) violazione dell’art. 23 del DPR 380/2001, difetto di istruttoria e inosservanza dei presupposti di fatto e di diritto;
5) violazione dell’art. 63 della LR 12/2005 e difetto assoluto di motivazione.
Si costituiva in giudizio dapprima il solo Comune di Milano, concludendo per il rigetto del ricorso.
Per i giudici del T.A.R. appare provata per tabulas la circostanza che il locale derivante dal recupero del sottotetto si trova ad una distanza inferiore a 10 metri sia rispetto all’edificio di proprietà dei due condomini ricorrenti.
La difesa del Comune di Milano non contesta il dato numerico sulle distanze, limitandosi a sostenere che l’art. 9 citato non sarebbe applicabile nel caso di specie, in quanto i fabbricati delle due ricorrenti e della controinteressata sarebbero inseriti in un solo condominio di edifici.
La tesi difensiva dell’Amministrazione non può trovare secondo il tribunale amministrativo, accoglimento: le porzioni di edificio risultanti dal recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti devono considerarsi come nuove costruzioni, con la conseguenza che dovranno necessariamente essere collocate ad almeno 10 metri dalla parete dell’edificio antistante.
Ciò premesso, sono evidenti sia l’inosservanza dell’art. 9 sopra richiamato, sia il difetto di istruttoria in cui è incorsa l’Amministrazione resistente.
Non appare, infatti, possibile procedere in ogni caso al recupero del sottotetto, ostandovi la previsione inderogabile del citato art. 9 sulla distanza minima fra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
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