Non è sempre possibile creare una zona verde
La scelta da parte dell’amministrazione pubblica di attribuire ad un’area del territorio comunale la destinazione a zona verde e di utilizzarla per realizzare servizi pubblici locali deve basarsi su valide ragioni che tengano conto della particolarità del terreno. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha così accolto il ricorso di una società immobiliare contro il Comune di Roma che con la delibera di adozione del piano regolatore generale aveva deciso di imprimere ad un’area di proprietà dell’impresa ricorrente la destinazione a verde pubblico e a servizi pubblici di livello locale. In precedenza il terreno era stato destinato all’edificazione privata per effetto di un accordo raggiunto con il Comune.
Secondo i giudici amministrativi il ricorso è fondato in quanto l’amministrazione comunale non ha indicato in modo soddisfacente le ragioni che rendono la zona idonea alla destinazione pubblica. Infatti la decisione di attribuire ad un lotto questo tipo di funzione deve basarsi sull’effettiva idoneità del terreno a servire allo scopo a cui viene destinato. Le caratteristiche morfologiche dell’area, di ridotte dimensioni ed anche scoscesa e circondata da edifici, non sono state sufficientemente prese in considerazione al fine di valutarne l’idoneità a soddisfare i bisogni collettivi. Inoltre l’amministrazione comunale avrebbe dovuto indicare anche quali cambiamenti interessanti l’area l’avevano portata a modificarne la destinazione che era stata già oggetto di apposita convenzione.
Riportiamo sotto la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione seconda, n. 109/2008:
FATTO
Con ricorso notificato in data 23 dicembre 2003, depositato l’8 gennaio 2004, l’istante società premette di essere proprietaria di un lotto intercluso di mq. 2.400 ubicato in Roma, all’interno del Comprensorio Acqua Traversa (fg. 223, p.lla 243), destinato all’edificazione privata per la realizzazione di villini signorili in forza di atto convenzionale (convenzione R – A del 22 gennaio 1935), per il quale pende innanzi a questo Tribunale (R . G. 831/98) ricorso avverso la variante al piano regolatore generale adottata con delibera comunale n. 92/97 (c.d. Piano delle Certezze), che, nell’ambito di modificazioni apportate a tutte le precedenti destinazioni di aree non ancora edificate o edificate con contenzioso in corso, interne al perimetro della convenzione, ha proposto per la proprietà la nuova destinazione N -verde pubblico.
La ricorrente espone poi che con delibera del Consiglio comunale di Roma n. 33, del 19/20 marzo 2003, di adozione del nuovo piano regolatore generale, per l’area di cui trattasi è stata proposta la destinazione a verde pubblico e servizi pubblici di livello locale.
Ciò premesso, domanda l’annullamento di quest’ultima delibera, avverso la quale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, l. urbanistica[1], del d. m. n. 1444/68 [2], nonché vari profili di eccesso di potere (difetto di istruttoria; erroneità di presupposti; illogicità, irrazionalità e contraddittorietà, sviamento).
In particolare, con il primo motivo di ricorso si sostiene che la conferma della revoca del precedente regime convenzionale, attributivo di un modesto incremento edificatorio, sarebbe priva di giustificazioni, di istruttoria e di motivazione, laddove, per converso, lo stato dell’area (interclusa, di ridotte dimensioni, di peculiare localizzazione e ad andamento scosceso) dovrebbe far escludere qualsiasi vocazione all’uso pubblico.
Con il secondo motivo di ricorso si contestano i parametri adottati per la verifica degli standards urbanistici esistenti e per il calcolo delle nuove previsioni insediative, che avrebbero comportato una ingiustificata lievitazione degli ulteriori standard da reperire.
Con il terzo motivo, infine, si denunzia che la versione definitiva del piano, nel ridurre drasticamente la possibilità di ricorso all’istituto della compensazione edificatoria in alternativa all’acquisizione coattiva delle aree da destinare a standards, ha modificato l’originario impianto portante della pianificazione, senza individuare la copertura finanziaria dei conseguenti maggiori costi.
Si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso, l’intimata amministrazione comunale.
Con memoria depositata in data 9 novembre 2007 la parte ricorrente ha rappresentato che, nelle more dell’odierno giudizio, con sentenza 6 dicembre 2004, n. 14894, passata in giudicato, questo Tribunale, Sez. I, ha accolto il ricorso di cui sopra, rubricato al n. R. G. 831/98 avverso la variante al piano regolatore generale adottata con il Piano delle Certezze.
Alla pubblica udienza del 21 novembre 2007 il ricorso è stato indi trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1. E’ controversa nel presente gravame la destinazione a verde pubblico e servizi pubblici di livello locale, impressa in sede di adozione del nuovo piano regolatore generale, ad un lotto intercluso di mq. 2.400, di proprietà della ricorrente, ubicato in Roma, all’interno del Comprensorio Acqua Traversa (fg. 223, p.lla 243).
2. Il ricorso è fondato.
E’, in particolare, fondato il primo motivo di doglianza, a carattere dirimente, con il quale la parte ricorrente si duole del difetto di istruttoria della destinazione pubblica attribuita all’area di cui trattasi.
3. La proprietà di cui si discute è connotata da indubbie peculiarità.
3.1. Morfologicamente, come affermato dalla parte ricorrente e comprovato dalla documentazione tecnica e fotografica versata in atti, l’ambito è inserito in un contesto completamente edificato ed urbanizzato, e si presenta intercluso, di ridotte dimensioni e ad andamento scosceso.
3.2. Sotto il profilo storico-urbanistico, la singolarità dell’area, già oggetto di risalente convenzione urbanistica (convenzione R – A del 22 gennaio 1935), ha costituito il presupposto della istruttoria disposta da questo Tribunale, Sezione I (sentenza 22 marzo 2000, n. 2028), nell’ambito del ricorso proposto da precedente proprietaria avverso la destinazione N -verde pubblico già individuata per l’ambito dalla variante al piano regolatore generale adottata con delibera comunale n. 92/97 (c.d. Piano delle Certezze).
In detta sede, dubitandosi della completezza e della congruità degli elementi acquisiti a supporto della destinazione pubblica prevista, era stato prescritto, che l’amministrazione fornisse documentati chiarimenti, da un lato, sulla posizione della società ricorrente rispetto alla convenzione originaria, a quella rinegoziata e agli obblighi di cessione delle aree, e, dall’altro, sui parametri medi applicati, sugli accertamenti effettuati per verificare gli abitanti censiti, le unità abitative esistenti e le totali cubature, nonché sul calcolo delle disponibilità e del fabbisogno di aree pubbliche, sull’incidenza ai fini del calcolo del verde della destinazione a parco della cd. Collina I.N.A. prospiciente e sui dati esibiti per l’ambito di riferimento, con migliore specificazione dei vari tipi di calcolo effettuati, del parametro medio applicato e degli effetti del raddoppio degli standard con specifico riferimento all’area della ricorrente; la sentenza ha richiesto altresì una "verifica dell’eventuale realizzazione di zone a verde di quartiere tra il 1991 e il 1997 nell’ambito di riferimento che potessero aver modificato in modo significativo il limite delle carenze riscontrate".
Il disposto incombente necessitava l’effettuazione di un approfondita ed estesa indagine amministrativa.
Essa, peraltro, non risulta aver avuto luogo.
Il precitato contenzioso, infatti, si è concluso con la sentenza 6 dicembre 2004, n. 14894, passata in giudicato, che, preso atto dell’assenza di elementi provenienti da parte amministrativa, ha accolto il ricorso, annullando il Piano delle Certezze nella parte in cui ha destinato l’area di cui trattasi a verde pubblico.
4. Alla luce degli atti di causa, l’impugnata determinazione non dà contezza dell’apprezzamento di alcuna delle descritte singolarità, non rinvenendosi alcun pertinente e significativo elemento dagli atti depositati dall’amministrazione ed avendo la medesima affidato le proprie difese ad una memoria tardiva (e generica).
4.1. Ne consegue, quanto al primo dei sopra delineati profili, in applicazione di canoni di medio senso comune, che assumono valenza dominante in assenza di elementi contrari, la plausibilità del dubbio esposto dalla ricorrente che l’area possa essere oggetto di una concreta fruizione collettiva diversa da quella dei confinanti, che, da sola, non giustifica né il sacrificio imposto al privato né gli oneri connessi all’attuazione del vincolo.
4.2. Quanto alla situazione giuridica dell’area, il Collegio rileva quanto segue.
A fronte della tematica sostanziale introdotta dalla censura inerente la carenza istruttoria della destinazione pubblica nuovamente impressa all’area, permeata dal valore aggiunto assunto per effetto dell’andamento del precedente giudizio, l’amministrazione si è limitata, con la memoria tardiva di cui sopra, ad offrire un insieme di elementi che lambiscono la vicenda, senza centrare minimamente, nel merito, il vero oggetto del relativo contendere, ovvero la dimostrazione della idoneità dell’area, già oggetto di un regime convenzionale e di una recente favorevole statuizione, a concorrere alla esigenza di soddisfare i bisogni collettivi del comprensorio, i quali, in forza del principio, di valore assoluto, della pienezza della tutela giurisdizionale (che impone di considerare non soltanto l’esito del giudizio, ma anche gli elementi qualificanti del percorso logico-giuridico sottostante), avrebbero dovuto, comunque, formare oggetto di specifiche allegazioni.
In un siffatto contesto, deve concludersi, anche nell’odierno ambito, che l’amministrazione, al di là del ripiego su soluzioni preconfezionate, già acclarate quali non conformi all’ordinamento, non ha reso possibile verificare, sia pur in linea di massima, quali valutazioni in concreto e quali parametri abbiano condotto alla nuova modifica in senso peggiorativo della vocazione assunta dall’area per effetto della convenzione, del giudicato e dell’inserimento in un ambito completamente urbanizzato.
Non depone in diverso avviso la circostanza che la favorevole sentenza sopra citata sia posteriore alla pianificazione oggi contestata.
Invero, la contestata delibera è successiva rispetto all’incombente interlocutorio rimasto inevaso, che esplicitava con assoluta chiarezza gli specifici obblighi ci era tenuta l’amministrazione nella fattispecie; né può certamente ignorarsi, da parte del Comune, sia in sede di adozione di atti a rilevante valenza compressiva di facoltà private sia in sede di giudizio avverso gli stessi, l’eventualità che l’inadempimento ad obblighi nascenti dal giudicato comporti effetti pregiudizievoli e limitativi dell’azione amministrativa.
5. Per quanto precede, il ricorso, assorbita ogni altra censura, deve essere accolto.
Le spese possono essere equitativamente compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 168/04, proposto da S. I. l S. e G. a r.l., come in epigrafe, lo accoglie disponendo, per l’effetto, l’annullamento, in parte qua, della delibera consiliare n. 33/03 di adozione del piano regolatore generale del Comune di Roma.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda, nella camera di consiglio del 21 novembre 2007.
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