Inquinamento atmosferico: i dati di Legambiente
Legambiente ha presentato recentemente Mal’Aria industriale, il libro bianco sull’inquinamento atmosferico da attività produttive in Italia.
Polveri sottili, ossidi di azoto e di zolfo, benzene, ozono ma non solo. Agli inquinanti “classici” che il traffico riversa nelle nostre città, nell’aria che molti respirano in alcune zone d’Italia vanno aggiunti diossine e furani, policlorobifenili, mercurio, piombo o cadmio: composti chimici, tossici e in alcuni casi cancerogeni emessi da fonti industriali.
A Taranto, città simbolo di questa edizione, lo stabilimento siderurgico dell’Ilva ha prodotto in un anno il 92% delle emissioni di diossina e il 95% degli Ipa da fonti industriali. […]
“All’industria italiana – ha dichiarato Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente – chiediamo il coraggio e la lungimiranza necessari a fronteggiare la crisi economica e finanziaria mondiale, investendo in prodotti innovativi, attraverso l’ammodernamento e la messa in sicurezza degli impianti e la riconversione dei cicli produttivi più obsoleti, come previsto dalla normativa europea, garantendo la qualità del territorio e la vivibilità dell’ambiente circostante, elemento che può contraddistinguere il nostro Paese sui mercati internazionali”.
L’Ilva, con i suoi primati nazionali sulle emissioni inquinanti in atmosfera, è finita sul tavolo degli imputati soprattutto per i due record relativi alle emissioni di diossine e furani e di idrocarburi policiclici aromatici.
Nel 2007 l’Ilva ha presentato, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 59/2005 di recepimento della direttiva europea Ippc, la richiesta di Autorizzazione integrata ambientale (Aia) che dovrà essere rilasciata entro il 31 marzo 2009.
“Ci auguriamo – ha aggiunto Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente – che il governo, a cominciare dal ministro dell’Ambiente, presti tutta l’attenzione che merita una brutta storia di inquinamento come quella di Taranto, per indirizzare gli investimenti dell’Ilva, in tempi certi e brevi, verso quelle tecnologie che adeguerebbero lo stabilimento ai migliori standard europei”.
I dati raccolti nel rapporto di Legambiente dimostrano l’urgenza di interventi migliorativi negli impianti industriali italiani per difendere l’ambiente e la salute dei cittadini che vivono nei pressi dei siti produttivi. S
econdo l’Inventario nazionale delle emissioni in atmosfera di Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nel 2006 in Italia l’industria ha emesso il 95% del totale dell’arsenico scaricato in atmosfera da tutte le fonti, il 90% del cromo, l’87% dei Pcb, l’83% del piombo, il 75% del mercurio, il 72% di diossine e furani, il 61% di cadmio.
Sono stati emesse in atmosfera 388mila tonnellate circa di ossidi di zolfo (SOx), il 78% delle quali deriva da fonti industriali, soprattutto dalla produzione di energia, mentre il 15% è stato emesso dai trasporti non stradali, prevalentemente marittimi; poco più di 173mila tonnellate di polveri sottili (PM10), emesse per il 28% del totale dalle attività industriali e per il 27% dai trasporti stradali; oltre 1 milione di tonnellate di ossidi di azoto (NOx), il 44% dei quali derivanti dal traffico stradale, mentre il 25% è dovuto all’industria.
Tra i complessi industriali più inquinanti del Paese, l’acciaieria Ilva di Taranto stravince in 10 delle 14 classifiche per inquinante stilate da Legambiente in base all’Inventario delle emissioni e loro sorgenti (Ines) di Ispra.
Sette di queste riguardano i microinquinanti: lo stabilimento siderurgico tarantino vince per aver emesso in atmosfera 32 tonnellate di Ipa (pari al 95% del totale nazionale delle emissioni industriali censite dall’Ines), 92 grammi di diossine e furani (pari al 92% del totale), 74 tonnellate di piombo (78%), 1,4 tonnellate di mercurio (57%), 231 tonnellate di benzene (42%), 366 kg di cadmio (42%), 4 tonnellate di cromo (31%).
re classifiche invece riguardano i macroinquinanti: le emissioni da primato nazionale dell’Ilva sono le 540mila tonnellate di monossido di carbonio (pari all’80% del totale nazionale delle emissioni industriali censite dall’Ines), le 43mila tonnellate di SOx (15%) e le 30mila tonnellate di NOx (11%).
Non potevano mancare in questi elenchi le aree industriali di Porto Marghera e Augusta – Priolo – Melilli (SR), tra le più inquinate d’Italia, rispettivamente con 4 e 6 impianti. La raffineria Eni, la Simar Spa, gli stabilimenti Syndial e la Ineos Vinyls a Marghera. A Priolo le centrali Erg, la raffineria Esso, gli stabilimenti Syndial, la centrale Isab Energy, la raffineria Erg e il petrolchimico Polimeri Europa.
L’aria irrespirabile di Taranto è, dunque, l’esempio più emblematico della “mal’aria industriale” italiana. Ma ci sono altre storie, oggetto di vertenze di Legambiente e descritte nel dossier.
Come quella dell’impianto siderurgico di Trieste che, nonostante i limiti stringenti alle emissioni di diossina in atmosfera, continua a causare un impatto rilevante sui quartieri circostanti soprattutto con gli Ipa e le polveri sottili, alla raffineria di Gela, dove Legambiente ha avanzato una proposta dettagliata per l’innovazione tecnologica dell’impianto per evitare l’incenerimento del pet-coke all’interno del sito industriale.
Dalla raffineria di Falconara Marittima, a due passi da Ancona, che nonostante il già importante contributo alle emissioni della zona vorrebbe costruire due centrali termoelettriche in evidente contrasto con il Piano energetico ambientale regionale, alla cokeria di Cairo Montenotte, in provincia di Savona, con i suoi impianti obsoleti che liberano nell’aria grandi quantità di inquinanti, fino alla raffineria di Cremona e al cementificio di Rezzato in provincia di Brescia.
Al governo e al parlamento l’associazione ambientalista chiede di attivarsi per colmare la lacuna della normativa vigente sulle emissioni di diossina e furani. "E’ quanto mai urgente – spiega Legambiente -rivedere il limite di legge in termini di tossicità equivalente, limitandosi ai 17 composti di diossina e furani che mettono a repentaglio la salute umana, abbassando il valore massimo consentito a 0,4 ng per metro cubo previsto dalla normativa europea, già adottato dalla legge della Regione Puglia".
"Al ministro dell’Ambiente – aggiunge – chiediamo di scongiurare l’ipotesi di una nuova proroga ai termini previsti per la concessione dell’Autorizzazione integrata ambientale agli impianti soggetti alla normativa sull’Ippc (che deve essere rilasciata entro il 31 marzo 2009) e soprattutto di farsi garante della salute della popolazione e dei lavoratori tarantini facendo in modo che lo stabilimento dell’Ilva venga riautorizzato con prescrizioni che prevedano tempi certi e serrati per l’ammodernamento dell’impianto e per la riduzione delle emissioni a partire dagli inquinanti più pericolosi per la salute, come le diossine, i furani e gli Ipa".
Infine Legambiente si rivolge alle Regioni e al ministro dell’Ambiente chiedendo di pianificare una serie di misure economiche e normative per adeguare allo standard europeo e statunitense il sistema dei controlli ambientali del Paese, fondato sulle attività delle Arpa e di Ispra.
Fonte: www.legambiente.eu
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