Annullamento permesso di costruire a distanza di diversi anni

di MARIO PETRULLI

Nei mesi scorsi si era avuta la rimessione(1) all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato di una problematica oggetto di contrasti giurisprudenziali(2), ossia la corretta gestione dell’annullamento di un permesso di costruire a distanza di molti anni dall’adozione del titolo: con la decisione n. 8 del 17 ottobre scorso i giudici si sono espressi in modo definitivo.
Le due questioni su cui l’Adunanza Plenaria è stata chiamata ad esprimersi sono le seguenti:

  • se l’annullamento ex officio di un titolo edilizio in sanatoria intervenuto a notevole distanza di tempo dal provvedimento originario debba comunque essere motivato in relazione a un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione e ai contrapposti interessi dei soggetti incisi;
  • se, ai fini di tale comparazione, rilevi che il privato abbia indotto in errore l’amministrazione attraverso l’allegazione di circostanze non veritiere idonee a determinare l’adozione dell’originario provvedimento favorevole.

Le indicazioni dell’Adunanza Plenaria
Vediamo, in estrema sintesi, le indicazioni dell’Adunanza Plenaria, rimandando ad altra occasione i necessari approfondimenti.
Sulla prima questione, è stato affermato il seguente principio di diritto: “l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole”. Tuttavia, hanno aggiunto i giudici:

  • il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consuma il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio;
  • in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorre soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro;
  • l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà sì attenuato ma mai escluso in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del potere di annullamento).

Sulla seconda questione, è stato affermato che “la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte”. In sintesi, perciò, dinanzi alle false rappresentazioni della realtà ascrivibili al comportamento dell’interessato, bisognerà comunque motivate ma il compito è reso agevole in quanto sarà sufficiente richiamare la falsa rappresentazione operata dall’interessato.
I giudici hanno anche ricordato come “il Legislatore (pur consapevole della gravità e diffusività del fenomeno dell’abusivismo edilizio e della frequente inadeguatezza delle risorse messe in campo dalle amministrazioni locali per fronteggiarlo) non ha tutt’oggi approntato una speciale disciplina in tema di presupposti e condizioni per l’adozione dell’annullamento ex officio di titoli edilizi, in tal modo giustificando un orientamento volto a riconoscere anche in tali ipotesi la generale valenza dell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990”: quindi, l’annullamento dei titoli edilizi ricade comunque nell’ambito di operatività generale dell’annullamento dei provvedimenti amministrativi e trova applicazione l’art. 21-noniesdella legge n. 241/90.

>> CONSULTA LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO (AD. PLEN.) 17 OTTOBRE 2017, n. 8.

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NOTE

(1) Ordinanza di rimessione n. 1830/2017 del TAR Puglia, sez. Bari.
(2) In base a un primo orientamento, allo stato maggioritario, l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo (in specie se rilasciato in sanatoria) risulta in re ipsa correlato alla necessità di curare l’interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. Ciò, in quanto il rilascio stesso di un titolo illegittimo determina la sussistenza di una permanente situazione contra ius, in tal modo ingenerando in capo all’amministrazione il potere-dovere di annullare in ogni tempo il titolo edilizio illegittimamente rilasciato (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, IV, 19 agosto 2016, n. 3660; id., V, 8 novembre 2012, n. 5691).
I fautori di tale tesi ritengono in particolare che non gravi in capo all’amministrazione un particolare onere motivazionale – ovvero l’obbligo di valutare i diversi interessi in campo – laddove l’illegittimità del titolo in sanatoria sia stata determinata da una falsa rappresentazione dei fatti e dello stato dei luoghi imputabile al beneficiario del titolo in sanatoria (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, IV, 27 agosto 2012, n. 4619).
In tali ipotesi risulterebbe anzi inconferente lo stesso richiamo alla disciplina di cui agli articoli 21-octies e 21-nonies della l. 241 del 1990 poiché è proprio la falsa rappresentazione dei fatti rilevanti a rendere vincolata l’adozione del provvedimento di annullamento in autotutela, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (ivi).
In base a tale prospettazione, uno specifico onere motivazionale a sostegno dell’autotutela può essere imposto all’amministrazione soltanto laddove l’esercizio dell’autotutela discenda da errori di valutazione imputabili alla stessa amministrazione (in tal senso: Cons. Stato, sent. 5691 del 2012, cit.).
In base a un secondo orientamento (più recente e allo stato minoritario), anche nel caso di annullamento ex officio di titoli edilizi in sanatoria dovrebbero trovare integrale applicazione i generali presupposti legali di cui all’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990, non potendo l’amministrazione fondare l’adozione dell’atto di ritiro sul mero intento di ripristinare la legalità violata (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2016, n. 351 del 2016; id., IV, 15 febbraio 2013, n. 915).
Ne consegue che l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio postula l’apprezzamento di un presupposto – per così dire – ‘rigido’ (l’illegittimità dell’atto da annullare) e di due ulteriori presupposti riferiti a concetti indeterminati, da apprezzare discrezionalmente dall’amministrazione (si tratta della ragionevolezza del termine di esercizio del potere di ritiro e dell’interesse pubblico alla rimozione, unitamente alla considerazione dell’interesse dei destinatari – Cons. Stato, VI, 27 gennaio 2017, n. 341).
In base all’orientamento in parola, il fondamento di tali ulteriori presupposti va individuato nella garanzia della tutela dell’affidamento dei destinatari circa la certezza e la stabilità degli effetti giuridici prodotti dal provvedimento illegittimo, mediante una valutazione discrezionale volta alla ricerca del giusto equilibrio tra il ripristino della legalità violata e la conservazione dell’assetto regolativo impresso dal provvedimento viziato.
La richiamata sentenza n. 341 del 2017 ha altresì affermato il generale obbligo per l’amministrazione la quale intenda procedere all’annullamento ex officio di un provvedimento di sanatoria di opere abusive di operare un motivato bilanciamento fra (da un lato) l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata e (dall’altro) l’interesse dei destinatari al mantenimento dello status quo ante (interesse vieppiù rafforzato dall’affidamento legittimo determinato dall’adozione dell’atto e dal decorso del tempo). La decisione in parola ha inoltre stabilito che la motivata ponderazione fra i diversi interessi in gioco risulti tanto più necessaria nel caso di atti di ritiro di titoli edilizi, i quali sono destinati ad esaurirsi con l’adozione dell’atto ampliativo, palesando una scelta legislativa volta a riconoscere maggiore rilevanza all’interesse dei privati destinatari dell’atto e minore rilevanza all’interesse pubblico alla rimozione dell’atto i cui effetti si sono ormai prodotti in via definitiva.

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