Abitazioni a rischio frane e alluvioni
L’Italia si scopre sempre più fragile: troppo cemento lungo i corsi d’acqua così come a ridosso di versanti franosi mentre ancora è grave il ritardo nelle attività di prevenzione.
Sono ben 6.633 i comuni italiani in cui sono presenti aree ad alta criticità idrogeologica, una fragilità endemica che non risparmia nessuna regione italiana.
Nell’82% dei comuni intervistati da Ecosistema rischio 2010 sono presenti abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana e nel 31% dei casi sono presenti in tali zone addirittura interi quartieri.
Nel 54% delle municipalità sono presenti in aree esposte al pericolo di frane e alluvioni fabbricati industriali e nel 19% strutture pubbliche sensibili come scuole e ospedali. Complessivamente si può stimare che ogni giorno nel Paese ci siano oltre 3 milioni e 500 mila cittadini esposti al pericolo di frane o alluvioni.
Considerando globalmente il lavoro di mitigazione del rischio idrogeologico sono appena il 22% i comuni che intervengono in questo settore in modo positivo, mentre il 43%non fapraticamente nulla per prevenire i danni derivanti da alluvioni e frane.
Dati confortanti arrivano invece dalle attività svolte nell’organizzazione del sistema locale di protezione civile: il 76%delle amministrazioni comunali possiede un piano d’emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione, e nel 51% dei casi i piani sono stati aggiornati negli ultimi due anni.
È questa la fotografia del pericolo frane e alluvioni in Italia scattata da Legambiente e dal Dipartimento della Protezione Civile con Ecosistema Rischio 2010.
L’indagine, realizzata nell’ambito della campagna nazionale Operazione Fiumi 2010, che ha monitorato le attività nell’opera di prevenzione di frane e alluvioni realizzate da oltre 2.000 amministrazioni comunali fra quelle classificate ad elevato e a molto elevato rischio idrogeologico.
Il dossier Ecosistema rischio 2010 è stato presentato martedì scorso in conferenza stampa a Roma dal capodipartimento della Protezione Civile Franco Gabrielli, dalla direttrice nazionale di Legambiente Rossella Muroni e del responsabilenazionale protezione civile di LegambienteSimone Andreotti.
“I danni provocati dalle recenti alluvioni che hanno colpito il Veneto, la Calabria e la Campania – ha dichiarato il direttore generale di Legambiente Rossella Muroni – sono la testimonianza di quanto il nostro Paese sia sempre più esposto al rischio idrogeologico.
Non può bastare evidentemente il sistema di pronto soccorso per l’emergenza già in corso, ma è necessaria una concreta politica di prevenzione per non assistere mai più a drammatiche vicende come, per esempio, quella di Atrani in Costiera Amalfitana, agendo prioritariamente proprio sul reticolo idrografico minore, su quei fiumi, torrenti e fossi che sembrano rappresentare oggi la vera emergenza dell’Italia. Serve una strategia pianificata che possa garantire la sicurezza dei cittadini mettendoci anche al riparo dai costi salatissimi, per lo Stato e quindi per i cittadini, delle continue emergenze”.
Solo per fronteggiare le più gravi emergenze idrogeologiche, nell’ultimo anno lo Stato ha stanziato circa 650 milioni di euro. Risorse fondamentali per il funzionamento della macchina dei soccorsi, per l’alloggiamento e l’assistenza agli sfollati, per supportare e risarcire le attività produttive e i cittadini colpiti e per i primi interventi di urgenza.
“La vera grande opera di cui ha bisogno il Paese è un intervento di prevenzione e manutenzione dei corsi d’acqua su scala nazionale – commenta Simone Andreotti, responsabilenazionale Protezione Civile di Legambiente -. Un’opera di prevenzione improrogabile attraverso la quale affermare una nuova cultura del suolo e del suo utilizzo, scegliendo come prioritaria la sicurezza della collettività e mettendo fine a quegli usi speculativi e abusivi del territorio che troppo spesso caratterizzano ampie aree del Paese.”.
Sempre secondo i dati di Ecosistema rischio nel 69% dei comuni intervistati sono state svolte attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e/o opere per la messa in sicurezza del territorio e dei versanti: è importante notare tuttavia che tali interventi di messa in sicurezza troppo spesso seguano filosofie vecchie, non vengano studiati su scala di bacino e nel rispetto delle dinamiche naturali dei corsi d’acqua, rischiando di trasformarsi in alibi per continuare a costruire lungo i nostri fiumi.
E intanto le delocalizzazioni procedono a rilento: soltanto il 6% dei comuni intervistati ha intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e appena nel 3% dei casi si è provveduto con interventi analoghi su insediamenti o fabbricati industriali.
La difficoltà di attuare interventi di delocalizzazione è anche legata alla generale resistenza delle popolazioni ad accettarla anche a fronte di un rischio acclarato, rispetto al quale i possibili interventi strutturali hanno scarsa possibilità di successo.
Il comune più meritorio nella prevenzione delle frane e delle alluvioni è Senigallia (AN), che ha conquistatoil primato nazionale nella speciale classifica di Ecosistema rischio 2010 grazie alla realizzazione di interventi di delocalizzazione degli insediamenti abitativi e industriali dalle zone esposte a maggiore pericolo e all’organizzazione di un buon sistema locale di protezione civile.
“Maglie nere”, invece, per otto comuni che ottengono un pesante zero in pagella: Bolognetta (Pa), Ravanusa (Ag), Coriano (Rn), San Roberto e Fiumara (Rc), Paupisi (Bn) e Raviscanina (Ce), comuni nei quali è presente una pesante urbanizzazione delle zone esposte a pericolo di frane e alluvioni e non sono state avviate attività mirate alla mitigazione del rischio, né dal punto di vista della manutenzione del territorio, né nell’attivazione di un corretto sistema comunale di protezione civile.
Fonte: Legambiente
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