Ristrutturazione edilizia: la consistenza dell’immobile preesistente

Preesistenza edilizia e ristrutturazione: il legame tra questi due concetti riveste un ruolo importante ai fini della definizione stessa di lavori in edilizia. Il Consiglio di Stato, attraverso una recente sentenza, la n. 5174 dello scorso 21 ottobre, si è pronunciata proprio sul tema, esplicitando la questione in maniera interessante. Scopriamo come.

Ristrutturazione fabbricato: cosa rivendica il privato
La controversia nasce a causa del diniego manifestato da un Comune in ordine alla richiesta di rilascio di permesso di costruire per l’esecuzione di opere di ristrutturazione edilizia di un fabbricato rurale. Il privato che impugna il diniego infatti rivendica la possibilità di eseguire il progettato intervento, dal momento che si tratterebbe di ripristinare l’originaria consistenza edilizia del fabbricato venuta meno in parte per effetto di un incendio sviluppatosi nel 1984. Secondo tale prospettazione, pertanto, non vi sarebbe motivo alcuno per impedire la richiesta riqualificazione del preesistente manufatto.

La risposta dell’Amministrazione comunale
L’Amministrazione comunale, a fronte della domanda di edificazione, oppone la circostanza ostativa data dal fatto che il progettato intervento non sarebbe ammissibile in quanto il manufatto risulterebbe alla data di adozione del PRG (1994) in una diversa situazione di stato, da non potersi assentire ampliamenti. Il cittadino appellante sostiene, invece, che il fabbricato era originariamente di due piani e tali caratteristiche strutturali sono in parte venute meno solo per un evento di forza maggiore (ovvero il suddetto incendio avvenuto nel 1984) a seguito del quale nel 2005 si procedette alla demolizione del piano superiore. Pertanto, e giace qui il nodo del contendere, nessun ampliamento sarebbe configurabile dalle progettate opere di riqualificazione, trattandosi, nel concreto, soltanto di un mero ripristino di quanto in precedenza già esisteva.

I presupposti della ristrutturazione
Per corroborare la loro tesi i supremi giudici amministrativi hanno, ripercorso un importante orientamento giurisprudenziale, affermando che “la ristrutturazione edilizia presuppone come elemento indispensabile la preesistenza del fabbricato nella consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed architettoniche proprie del manufatto che si vuole ricostruire (…). [L]a rilevazione della preesistenza ai fini dell’intervento ricostruttivo non può non ancorarsi alla situazione di fatto esistente alla data di presentazione della domanda e nella specie al momento di produzione dell’istanza di edificazione (in questo caso, novembre 2006, ndr) il fabbricato esistente aveva connotazioni tipologiche di un manufatto costituito da un solo piano fuori terra”.

Per altre sentenze in materia di edilizia e ristrutturazione leggi l’articolo Edilizia: l’intervento che altera volumi e sagoma di un edificio non è una ristrutturazione.

Ha ragione il Comune
Pertanto, ai fini del caso di specie, non basta dimostrare che “un immobile in parte poi crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si dimostri oltre all’an anche il quantum e cioè l’esatta consistenza dell’immobile preesistente del quale si chiede la ricostruzione”, afferma il Consiglio di Stato. Quindi, in questa specifica fattispecie, non si tratterebbe per il privato di “rifare” il preesistente manufatto nello stesso luogo e nella stessa forma, bensì di aggiungere al precedente organismo edilizio una inedita volumetria non consentita dalla vigente disciplina normativa urbanistica. Il Consiglio di Stato dà pertanto ragione al Comune nell’aver affermato il suo diniego: non è sufficiente per il privato dimostrare che un immobile (in parte poi crollato o demolito) è esistente, ma è necessario che egli dimostri anche l’esatta consistenza dell’immobile preesistente del quale chiede la ricostruzione.

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