Variante generale al piano regolatore: la partecipazione dei consiglieri comunali
Assume rilievo la pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa, sent. 14 aprile 2016 n. 92. Ecco in sintesi i temi trattati:
– L’enunciazione meramente verbale di un emendamento allo schema di massima della variante generale al piano regolatore, in carenza di allegazione della documentazione cartografica, rende illegittima la delibera consiliare nella parte in cui reca l’approvazione dell’emendamento.
– Se mancano le condizioni per una consapevole valutazione di un emendamento, la partecipazione al voto, avvenuta “al buio”, non sana il vizio di metodo dei lavori consiliari.
– La circostanza che una determinata forza politica detenga la maggioranza dei voti non consente di deliberare se la minoranza è stata esclusa dalla partecipazione a un consapevole e informato confronto.
La vicenda trattata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa (CGA, Sez giurisdizionale, sentenza 14 aprile 2016 n. 92) riguarda consiglieri a cui era stata negata copia dell’emendamento e la sospensione della seduta per acquisirne adeguata conoscenza. Ciò malgrado, il Consiglio comunale deliberava di approvare l’emendamento proposto dai consiglieri costituenti la maggioranza numerica.
Per i consiglieri ricorrenti tale comportamento, che aveva loro impedito il corretto esercizio del munus, violava i princìpi costituzionali di ragionevolezza, buon andamento, efficacia ed efficienza della pubblica amministrazione, e la normativa che regola l’attività del Consiglio a garanzia di una fattiva partecipazione al dibattito assembleare (art. 43 d.lgs n. 267 del 2000 e artt. 26 e 33 dello statuto comunale).
Altresì i ricorrenti prospettavano vizi di eccesso di potere per contraddittorietà, carenza d’istruttoria e illogicità manifesta, a causa della mancata trasposizione cartografica dell’emendamento, proposto solo in termini letterali.
In tale contesto, il comune di Vittoria – nel rilevare che l’emendamento era stato sottoposto all’approvazione del Consiglio in totale carenza d’istruttoria tecnico-amministrativa e di trasposizione dei suoi contenuti in planimetrie/tavole progettuali – chiedeva al Tribunale Amministrativo, condividendo le motivazioni proposte dai ricorrenti, l’accoglimento del ricorso, deducendo che la delibera di Giunta, come emendata, era in grado di paralizzare lo sviluppo turistico, economico e produttivo del territorio comunale, con grave danno per la collettività amministrata.
Il Giudice di primo grado, accoglieva il ricorso, annullando la delibera del Consiglio, avente ad oggetto “Approvazione dello Schema di Massima della Variante Generale al P.R.G.”, nella parte in cui tale provvedimento recava l’approvazione dell’emendamento proposto dai consiglieri di maggioranza.
In particolare, il TARS-CT, risolta in senso positivo la questione della legittimazione ad agire dei consiglieri ricorrenti, dopo avere premesso che l’emendamento era stato proposto in assenza di trasposizione cartografica delle modifiche apportate allo schema della variante generale al piano regolatore generale, rilevava che “la mera enunciazione verbale delle proposte modifiche contenute nell’emendamento in questione non conferiva ai consiglieri sufficienti elementi conoscitivi poiché non consentiva di mettere a raffronto tali emendamenti con lo schema di massima approvato dalla Giunta e proposto per l’approvazione consiliare, al fine di valutarne la portata e l’incidenza… l’omessa allegazione alla proposta di emendamento qui in discussione della documentazione cartografica necessaria a dare effettiva contezza delle modifiche apportate, rende illegittima la delibera impugnata con la quale tali modifiche sono state approvate a maggioranza senza l’apporto dialettico dei consiglieri ricorrenti che, seppure costituenti minoranza nell’ambito del consiglio comunale, vantano diritto imprescindibile ad esercitare in toto il proprio mandato anche proponendo obiezioni e critiche concrete che possano fornire al Consiglio spunti di riflessione e incidere sulla delibera finale. Diversamente opinando si finisce con lo snaturare la funzione del consigliere comunale relegandola a quella di acritico e ignaro ratificatore di decisioni assunte aliunde, così svuotando di contenuto il suo ruolo istituzionale e riducendolo ad un vuoto simulacro.”
Avverso tale decisione proponevano appello i consiglieri firmatari dell’emendamento, contestando i rilievi svolti dal giudice di primo grado.
Con il primo motivo veniva riproposta la tesi diretta a escludere che vi fosse stata una lesione delle prerogative istituzionali dei consiglieri comunali ricorrenti, dato che nessuna norma prevede l’obbligo di allegare all’emendamento gli elaborati tecnici.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa, pur affermando la correttezza, in astratto, di tale regola generale, ha ritenuto doveroso calarsi nel particolare della vicenda, come correttamente descritta dal Comune e dai ricorrenti, rilevando che l’emendamento – di ampia portata, e di profondo impatto sullo schema di massima predisposto dai tecnici e proposto dalla Giunta – è stato sottoposto “a sorpresa” al Consiglio, in assenza di una previa istruttoria tecnica e, soprattutto, in forma orale (senza trasposizione nelle tavole progettuali), precludendo ai consiglieri di minoranza di avere contezza dei suoi precisi contenuti e, quindi, della sua incidenza sulla proposta della Giunta.
Il Collegio, sul presupposto che tale modo di procedere svilisce e vanifica l’esistenza dell’organo rappresentativo consiliare, precludendo la possibilità di una discussione e di un confronto secondo il metodo dialettico democratico, ha condiviso la decisione del primo Giudice, respingendo, in tutte le declinazioni in cui era stato proposto, il primo motivo d’appello, dato che “l’enunciazione meramente orale dell’emendamento in questione, in una con l’omessa allegazione allo stesso emendamento della documentazione cartografica occorrente a dare contezza delle relative modifiche, sono circostanze tali, vieppiù se valutate insieme al rifiuto di sospendere la seduta, da rendere illegittima la delibera impugnata”.
Con il secondo motivo veniva riproposta la tesi secondo cui, essendosi i consiglieri di minoranza espressi mediante un voto contrario all’emendamento, avrebbero – sull’erroneo presupposto che la semplice espressione di voto denota la conoscenza dell’atto – esercitato la loro funzione istituzionale.
Si tratta di una vecchio tranello, ben conosciuto dalle maggioranze numeriche, a cui la giurisprudenza ha spesso prestato il fianco: il consigliere, essendo munito del diritto di voto per esercitare il suo dissenso, è tenuto a uniformarsi alla decisione presa dal Consiglio, senza poter lamentare la violazione delle regole democratiche (cfr., fra tante, Consiglio di Stato, 21 marzo 2012, n. 1610).
Epperò, tale tranello ha fatto fiasco, e il Consiglio di Giustizia Amministrativa – considerate le modalità di presentazione e discussione dell’emendamento, e avuto riguardo alla natura ed al contenuto della delibera impugnata – ha ritenuto insostenibile l’arbitrario assunto di parte appellante, esprimendosi nel senso che la partecipazione al voto, avvenuta “al buio”, non è idonea a sanare il vizio di metodo dei lavori consiliari: “è fin troppo ovvio che la circostanza che una determinata forza politica detenga la maggioranza dei voti in un organo consiliare non permette di deliberare con modalità tali da porre la relativa minoranza in condizione di essere a priori esclusa dalla partecipazione a un consapevole e informato confronto sui temi sui quali la volontà dell’organo debba esprimersi”.
Infatti, non era stato consentito ai consiglieri di avere piena cognizione dell’emendamento da trattare e di partecipare al dibattito consiliare, essendo mancata la necessaria attività istruttoria e di acquisizione documentale, con il risultato di impedire anche l’attivazione degli strumenti di iniziativa del dissenso. La maggioranza numerica, non solo aveva omesso di fornire ai consiglieri non firmatari copia dell’emendamento e di sospendere la seduta, per consentirne il raffronto con le previsioni dello schema di massima proposto dalla Giunta, ma lo aveva messo ai voti senza che il suo contenuto, espresso in forma meramente letterale, venisse trasposto su cartografie, in modo da poterne valutare le ricadute sul territorio e la concreta fattibilità.
Sul punto va osservato che singoli consiglieri, investiti di legittimazione popolare, “hanno diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio”, nonché di ottenere dai competenti uffici “tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all´espletamento del proprio mandato” (art. 43 d.lgs. 267/2000).
La chiarezza espositiva dell’art.43 non pone alcun dubbio sul fatto che ai rappresentanti del corpo elettorale dev’essere garantito l’accesso ai documenti e alle informazioni utili all’espletamento del loro mandato (munus publicum), per garantire un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e altresì per promuovere le iniziative del dissenso (fra queste quella di sospensione della seduta consiliare).
Tale norma, e quelle statutarie comunali che la recepiscono, deriva dal principio di partecipazione democratica alle istituzioni rappresentative della sovranità popolare. Ed è proprio attraverso l’attività corretta e leale del Consiglio, governo più vicino ai cittadini e da cui deriva tale sovranità, che la collettività rappresentata esprime il diritto di partecipare alla vita sociale. Inoltre è la collegialità dell’organo consiliare che garantisce, non solo la verifica democratica in merito alla posizione assunta dai gruppi politici e dai singoli consiglieri, ma anche la partecipazione di tutti i cittadini sulle scelte fondamentali.
In ragione della natura politica e dei fini generali connessi allo svolgimento del mandato affidato dai cittadini elettori ai componenti del Consiglio comunale, il Consiglio di Giustizia Amministrativa – dopo aver verificato l’insussistenza dello ius ad officium dei consiglieri comunali non firmatari – ha ritenuto che il TARS-CT abbia giustamente risolto in senso positivo la questione proposta dai consiglieri ricorrenti a tutela delle loro prerogative.
In tale contesto, il Consiglio di Giustizia Amministrativa ha riconosciuto nella partecipazione il momento essenziale della vita democratica di una comunità.
La partecipazione ci rende liberi. Come cantava Gaber“ libertà è partecipazione, non è uno spazio libero”; non è “un vuoto simulacro”, come afferma il TAR, e non è nemmeno la forza numerica che esclude la minoranza “dalla partecipazione a un consapevole e informato confronto”, come afferma il CGA.
La libertà non si esercita in uno spazio vuoto o, peggio ancora, popolato da una creatura ostile che, a colpi di maggioranza, ferisce la democrazia e la libertà.
Articolo di Angela Bruno – Avvocato dirigente, dottore in scienze delle pubbliche amministrazioni
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