La mera presentazione di un piano attuativo di iniziativa privata non genera alcun affidamento qualificato rispetto a successive modifiche urbanistiche

di MARIO PETRULLI

Non possono ravvisarsi elementi idonei ad ingenerare una situazione di affidamento tutelabile in capo agli interessanti e tali da imporre, conseguentemente, un particolare onere motivazionale a giustificazione delle (nuove e divergenti) scelte urbanistiche effettuate dal Comune nel caso di mera presentazione di un piano attuativo di iniziativa privata mai confluita nell’ambito del relativo procedimento amministrativo di valutazione: è quanto affermato dal TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, nella sentenza 3 agosto 2018, n. 272.

È principio consolidato, infatti, in giurisprudenza che “le scelte amministrative pianificatorie sulla destinazione dei suoli non richiedono una specifica motivazione, salvi i casi in cui sussiste in capo al privato una aspettativa qualificata che tuttavia non può derivare dalla diversa destinazione urbanistica precedentemente attribuita alla stessa area, rispetto alla quale l’amministrazione conserva ampia discrezionalità potendo anche modificarla in senso peggiorativo“. Ed infatti, “le scelte urbanistiche costituiscono valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale e censurabili unicamente per i profili di abnormità, illogicità e travisamento dei fatti”. Tale regula iuris è da configurarsi in particolare in presenza dell’adozione di determinazioni in tema di pianificazione che investono rilevanti parti del territorio comunale, come ad esempio le varianti ordinarie, che sono dirette ad avere effetti innovativi sul governo del territorio, quanto ai fini, alle destinazioni e dimensionamento degli standard per cui riesce veramente difficile negare all’ente locale un incisivo potere politico-discrezionale e che si rivela suscettibile di essere censurato, in virtù delle prerogative proprie delle scelte operate, solo entro ristretti ambiti di profili di illegittimità.

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