Prima casa, per l’agevolazione prevale il dato anagrafico
Con la sentenza n. 8415 del 5 aprile scorso la Corte di Cassazione ha stabilito che i benefici fiscali per l’acquisto della prima casa spettano unicamente a chi possa dimostrare, in base ai dati anagrafici, di risiedere o lavorare nel comune dove ha acquistato l’immobile.
I giudici della Suprema Corte sono intervenuti su una controversia partita con un avviso di liquidazione dell’imposta e irrogazione delle sanzioni, con cui l’ufficio revocava al contribuente le agevolazioni “prima casa”, per mancato trasferimento della residenza entro il termine di 18 mesi dalla dichiarazione resa in atto, nel comune ove è sito l’immobile.
A seguito del ricorso del contribuente e di un primo grado di giudizio a esso favorevole, la vertenza giungeva alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, che confermava le istanze della parte privata, ritenendo sussistente un caso di forza maggiore, poiché non erano stati completati i lavori di ristrutturazione che avevano interessato l’immobile comprato.
Ricorreva per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidando il ricorso a due motivi di diritto: il primo, teso a contestare la ritenuta rilevanza del mancato completamento dei lavori nei termini previsti, come causa ostativa della decadenza dalle agevolazioni fiscali; il secondo, volto a opporre il difetto di motivazione della pronuncia dei giudici della Ctr.
La Corte suprema rileva come i giudici emiliani avessero probabilmente confuso la circostanza del mancato utilizzo dell’immobile acquistato come abitazione principale – rispetto alla quale potrebbe astrattamente operare un impedimento derivante da forza maggiore – con la situazione riguardante il mancato trasferimento della residenza nel comune ove è situato l’immobile, dichiarato dall’acquirente “prima casa” e per il quale ha fruito delle relative agevolazioni. In quest’ultimo caso, infatti, “nessuna forza ostativa può riconoscersi al dedotto mancato completamento dei lavori in questione”.
Infatti, l’orientamento costante del Collegio è quello secondo cui spetta il beneficio fiscale per l’acquisto della prima casa solo a colui che sia in grado di dimostrare, “secondo i dati anagrafici, di risiedere o lavorare nel comune ove ha acquistato l’immobile”, senza che eventuali situazioni di fatto, contrastanti con gli atti dello stato civile, possano rilevare in concreto.
Da qui, l’accoglimento del primo motivo di ricorso, l’assorbimento del secondo e la decisione nel merito della controversia a favore della non spettanza delle agevolazioni fiscali.
Secondo i giudici chi compra non deve aver dichiarato già “prima casa” sul territorio nazionale, né deve possedere – a titolo di proprietà o di altro diritto reale – altro immobile nel territorio del comune ove si trovi il bene immobile.
Inoltre il contribuente non può invocare una “causa di forza maggiore”, quale il mancato completamento dei lavori di ristrutturazione, per esimersi dal rispettare la dichiarazione espressa al rogito: infatti, tale evenienza non limita il potere da parte dell’acquirente di trasferire la propria residenza nel comune dove è ubicato l’immobile acquisito godendo dei benefici prima casa.
Questo principio è dettato in chiara funzione antielusiva e retto dalla stretta interpretazione letterale che informa le fattispecie agevolative: ciò per la considerazione che un beneficio fiscale deve essere ancorato a un dato certo, che asseveri la situazione di fatto enunciata in atto.
Fonte: Fisco Oggi
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