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Abuso edilizio risalente: focus sulla buona fede del privato acquirente
Una sentenza del TAR Campania contribuisce a sviluppare ulteriormente un nuovo orientamento giurisprudenziale che tutela maggiormente il privato
Il tema dell’abuso edilizio risalente connesso al legittimo affidamento del privato in buona fede viene ulteriormente sviluppato e chiarito grazie ad una sentenza del TAR Campania (8 giugno 2015, n.1349, sez. staccata di Salerno).
Nel caso di specie un soggetto ricorreva contro un’ordinanza dell’Amministrazione comunale relativa alla demolizione di un volume seminterrato destinato a box auto e ad una terrazza di copertura. Il ricorrente aveva acquistato i beni immobili soltanto nel 1995, una data successiva al momento in cui gli stessi erano stati realizzati (fine anni ’80). Il ricorrente quindi, acquirente in buona fede, ha per oltre 20 anni ha utilizzato tali beni, maturando una qualificata aspettativa alla conservazione degli stessi, con il conseguente obbligo dell’amministrazione di motivare in ordine all’interesse pubblico giustificativo dell’esercizio del potere repressivo, al di là della mera esigenza di repressione degli abusi.
La domanda di annullamento effettuata dal soggetto proprietario è stata ritenuta meritevole di accoglimento da parte del TAR: “Come evidenziato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n.1016 del 4.3.2014 – spiegano i giudici – nell’ipotesi in cui l’ordinanza ingiuntiva sia indirizzata ad un soggetto che non è il diretto autore dell’opera ed attinga un bene di realizzazione assai risalente, essa deve menzionare le esigenze di pubblico interesse sottese alla emanazione del provvedimento demolitorio”.
I presupposti per imporre all’amministrazione, nell’esercizio del suo potere repressivo, uno specifico onere motivazionale, prosegue il TAR, “sussistono nella fattispecie in esame, allegando il ricorrente, senza essere smentito dall’amministrazione comunale, il carattere risalente delle opere (esistenti quantomeno a far data dal 9.3.1995, risultando menzionate nell’atto di compravendita stipulato in pari data dal ricorrente e dal dante causa sig. Pinto Gaetano) e la sua buona fede (avendo il ricorrente acquistato l’immobile facendo legittimo affidamento sulla dichiarazione del dante causa in ordine alla conformità dei beni compravenduti alla concessione edilizia n. 114 del 16.9.1986)”.
L’atto impugnato viene pertanto annullato. La pronuncia si inserisce in maniera armonica all’interno dell’orientamento giurisprudenziale prevalente nell’ultimo periodo, ovverosia quello che ritiene decisivo il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza. In questo caso l’ordinanza di demolizione deve essere sorretta da una congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all´entità ed alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato. Ed allo stesso modo, sempre secondo l’orientamento più recente, tale onere motivazionale deve essere presente anche quando l’attuale proprietario non sia stato il soggetto che ha commesso l’abuso e l’alienazione del manufatto abusivo non sia stata effettuata per eludere i provvedimenti sanzionatori, con l’evidente intento di salvaguardare la buona fede dell’attuale acquirente.
Per approfondire ulteriormente questo tema consulta l’articolo di dottrina elaborato dalla nostra esperta Antonella Mafrica intitolato Abuso edilizio risalente ed affidamento del privato.
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