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La gestione di istanze di condono ancora pendenti: le Linee-Guida per l’Ufficio Edilizia
Negli anni passati, sono stati promulgati tre condoni edilizi, il che ha determinato una situazione di stallo per gli uffici tecnici comunali di tutta Italia, che a quasi quarant’anni di distanza dal primo condono edilizio, si trovano ancora con pratiche di condono pendenti, quindi prive del provvedimento finale, e ciò per i più svariati motivi

di Alice Brex

  1. Premessa

Negli anni passati, sono stati promulgati tre condoni edilizi, il che ha determinato una situazione di stallo per gli uffici tecnici comunali di tutta Italia, che a quasi quarant’anni di distanza dal primo condono edilizio, si trovano ancora con pratiche di condono pendenti, quindi prive del provvedimento finale, e ciò per i più svariati motivi (mancava un parere vincolante di un’autorità preposta alla tutela di un vincolo, mancato pagamento dell’oblazione o parziale pagamento, formazione del silenzio-assenso, non accertata).

Per cui, tutt’oggi gli uffici condoni comunali vengono sollecitati dai privati (molto spesso anche eredi) per capire se la domanda di condono era stata accolta, o meno.

  1. 28 febbraio 1985, n. 47 primo condono: ha introdotto la sanatoria e il condono.

Art. 35, comma 1, L. 47/1985: la domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria doveva essere presentata al Comune interessato entro il termine perentorio del 30 novembre 1985.

La domanda era corredata dalla prova dell’eseguito versamento dell’oblazione (nella misura dovuta secondo la tabella allegata), ovvero di una somma pari ad un terzo dell’oblazione, quale prima rata.

Art. 35, comma 18, L. 47/1985: (fermo il disposto del primo comma dell’art. 40 – mancata presentazione della domanda – e con l’esclusione dei casi di cui all’art. 33, recante “opere non suscettibili di sanatoria”) decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest’ultima si intendeva accolta (silenzio-assenso) nei seguenti casi:

  1. l’interessato doveva avere pagato tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio;
  2. l’interessato doveva avere presentato all’ufficio tecnico erariale la documentazione necessaria all’accatastamento e trascorsi trentasei mesi si prescriveva l’eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti.

La disciplina sopracitata prevede che la domanda di condono si intende accolta, in presenza delle seguenti condizioni:

– ultimazione delle opere abusive entro il 1° ottobre 1983;

– decorso del termine perentorio prefissato per una pronuncia espressa dell’Amministrazione comunale;

– pagamento dell’oblazione e degli oneri concessori dovuti;

– produzione della documentazione e delle denunce richieste.

In conformità ad un costante orientamento giurisprudenziale, ai fini della formazione del silenzio-assenso su un’istanza di condono edilizio, costituiscono condizioni necessarie:

– il pagamento degli oneri di concessione dovuti;

– i nulla-osta da parte delle autorità tutorie degli eventuali vincoli incidenti sulla zona oggetto dell’intervento abusivo;

– il deposito di tutta la documentazione prevista dalla normativa condonistica, tra cui quella volta ad identificare esattamente le opere da sanare, in quanto funzionale all’accertamento dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti per la sanatoria.

– Massime conformi

Il decorso dei termini fissati ex lege – ventiquattro mesi per la formazione del silenzio-accoglimento sull’istanza di condono edilizio e trentasei mesi per la prescrizione dell’eventuale diritto al conguaglio delle somme dovute – presuppone, in ogni caso, la completezza della domanda di sanatoria, accompagnata in particolare dall’integrale pagamento del dovuto a titolo di oblazione per quanto attiene la formazione del silenzio-accoglimento.

Perché possa formarsi il silenzio-assenso su un’istanza di condono edilizio, il termine di ventiquattro mesi decorre dalla presentazione della medesima domanda, a condizione che la stessa risulti completa in ogni sua parte. Inoltre, il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto del silenzio-assenso soltanto se la domanda di sanatoria presentata possegga i requisiti soggettivi e oggettivi per essere accolta, in quanto la mancanza di taluno di questi impedisce in radice che possa avviarsi il procedimento di sanatoria, in cui il decorso del tempo è mero co-elemento costitutivo della fattispecie autorizzativa.

In materia di condono edilizio la formazione del silenzio assenso per decorso del termine di ventiquattro mesi fissato dall’art. 35, comma 18, L. n. 47/1985, postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità, non determinandosi ope legis la regolarizzazione dell’abuso, in applicazione dell’istituto del silenzio assenso, ogni qualvolta manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma, ovvero ancora quando l’oblazione autoliquidata dalla parte interessata non corrisponda a quanto effettivamente dovuto, oppure quando la documentazione allegata all’istanza non risulti completa ovvero quando la domanda si presenti dolosamente infedele.

L’art. 49, comma 7, ultimo periodo, L. 27 dicembre 1997, n. 449, ha esteso al primo condono l’ipotesi di improcedibilità del condono, già introdotta in relazione al secondo condono.

Di seguito, il contenuto della disposizione: <<Le disposizioni di cui al penultimo periodo del comma 4 dell’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, come modificato dal decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, introdotte dall’articolo 2, comma 37, lettera d), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, relative alla mancata presentazione dei documenti, si applicano anche alle domande di condono edilizio presentate ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per cui non sia maturato il silenzio assenso a causa di carenza di documentazione obbligatoria per legge>>.

Tuttavia, restano procedibili le istanze di condono adeguatamente integrate prima dell’entrata in vigore della ulteriore restrizione di cui alla suddetta L. 449/1997.

L’art. 39, comma 4, della L. 23 dicembre 1994, n. 724 stabiliva quanto segue: <<La domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria, con la prova del pagamento dell’oblazione, deve essere presentata al comune competente, a pena di decadenza, entro il 31 marzo 1995>>.

In più, l’ultimo periodo del comma 4 (come modificato dall’art. 2, comma 37, L. 23 dicembre 1996, n. 662) ha introdotto una ipotesi espressa di improcedibilità della domanda di condono: <<La mancata presentazione dei documenti previsti per legge entro il termine di tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal comune comporta l’improcedibilità della domanda e il conseguente diniego della concessione o autorizzazione in sanatoria per carenza di documentazione. Si fanno salvi i provvedimenti emanati per la determinazione delle modalità di versamento, riscossione e rimborso dell’oblazione>>.

Il termine di tre mesi è da considerarsi perentorio, come anche confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 giugno 2023 n. 5768 («(…) comporta l’applicazione del termine perentorio di cui al richiamato comma 4 dell’art. 39»).

La L. 24 novembre 2003, n. 326, ha introdotto il c.d. “terzo condono”.

La sanabilità è stata riferita alle opere ultimate entro il 31 marzo 2003.

La causa di improcedibilità sopra vista, introdotta dall’art. 39, comma 4, L. 724/1994, si applica anche a questo terzo condono edilizio, il quale richiama le stesse procedure di cui alla L. 47/1985 e alla L. 724/1994 tramite il rinvio di cui al comma 25 dell’art. 32 D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche dalla L. n. 326/2003.

Cons. Stato Sez. VII, 29-09-2023, n. 8594

<<La legge n. 662/1996 (art. 2 comma 37) nel modificare l’art. 39 comma 4 della legge n. 724/94 ha introdotto tra le cause di improcedibilità e diniego delle domande di condono il tardivo deposito dell’integrazione documentale oltre novanta giorni dalla espressa richiesta notificata dal Comune «la mancata presentazione dei documenti previsti per legge entro il termine di tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune comporta l’improcedibilità della domanda e il conseguente diniego della concessione o autorizzazione in sanatoria per carenza di documentazione». La stessa causa di improcedibilità vige anche per le domande presentate ai sensi del cosiddetto ultimo condono edilizio di cui è causa, il quale richiama le stesse procedure di cui alla l. 47/85 e alla l. 724/94 tramite il rinvio di cui al comma 25 dell’art. 32 D.L. 269/2003 convertito con modifiche in l. 326/2003>>.

Soluzione gestoria proposta all’Ufficio Condoni

Si suggerisce all’Ufficio Tecnico comunale che istruisce le pratiche di condono di muoversi ad istanza di parte.

Si possono provare ad ipotizzare due casistiche:

  1. Caso 1: pratiche complete, sulle quali si è formato il silenzio-assenso

Se la pratica risulta correttamente istruita e completa in ogni sua parte, compreso il pagamento dell’oblazione: in questi casi, il legislatore ha espressamente sancito un dovere in capo alla Pubblica Amministrazione di rilasciare, a richiesta di parte, un’attestazione che comprovi la formazione del silenzio-assenso.

Infatti, così sancisce l’art. 20, comma 2 bis, L. 241/1990: <<Nei casi in cui il silenzio dell’Amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l’amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell’intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l’attestazione è sostituita da una dichiarazione del privato ai sensi dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445>>.

In tale evenienza, occorre rilasciare all’istante interessato l’attestazione di formazione del silenzio-assenso, sottoscritta dal Dirigente competente o dal Responsabile del Servizio.

  1. Caso 2: pratiche incomplete

Premesso che, tra le pratiche incomplete, per giurisprudenza sopra citata, vi rientrano, tra l’altro, anche quelle in cui l’oblazione autoliquidata dalla parte interessata non corrisponde a quanto effettivamente dovuto.

Se si applica la lettera della legge, in particolare l’art. 2, comma 37, L. 662/1996, introdotto espressamente per il secondo condono, ma successivamente richiamato anche per il primo ed il terzo condono, la mancata presentazione dei documenti previsti per legge entro il termine perentorio di tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal Comune comporta l’improcedibilità della domanda e il conseguente diniego della concessione o autorizzazione in sanatoria per carenza di documentazione.

In tale casistica, occorre definire la pratica di condono con una dichiarazione di improcedibilità per carenza documentale, sottoscritta dal Dirigente competente o dal Responsabile del Servizio.

 

 

 


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