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Sempre possibile l'inibitoria nel caso di utilizzo di una SCIA in luogo del necessario permesso di costruire
SCIA edilizia: un approfondimento sulla sentenza del TAR Campania, Salerno, (Sez. II), del 16 luglio 2024, n. 1498

di M. Petrulli

In caso di intervento edilizio realizzato all’esito di presentazione di SCIA, per il quale era tuttavia precluso il ricorso a detto titolo abilitativo, esigendosi di contro il rilascio di permesso di costruire, non trova applicazione il termine decadenziale per l’esercizio del potere inibitorio previsto dall’art. 19 della l. n. 241 del 1990, il cui decorso esaurisce gli ordinari poteri di vigilanza edilizia, in quanto tale termine opera solamente nelle ipotesi in cui gli interventi realizzati o realizzandi rientrino fra quelli eseguibili mediante SCIA: è quanto ribadito dal TAR Campania, Salerno, sez. II, nella sent. 16 luglio 2024, n. 1498.
Per gli interventi soggetti a permesso di costruire, invece, deve applicarsi il comma 2 bis dell’art. 21 della medesima legge a mente del quale “restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20” (sul punto, cfr., da ultimo, TAR Campania, Salerno, sez. II, n. 1105/2024).

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PARTE I >> I poteri dell’ufficio tecnico comunale dinanzi ad una SCIA edilizia.

PARTE III >> Inibitoria di una SCIA e comunicazione di avvio del provvedimento.

SCIA: la giurisprudenza

In questo senso, Cons. Stato, sez. II, n. 8032/2020 ha statuito che: «Il d.p.r. n. 380 del 2001, nel testo originario entrato in vigore nel giugno 2003 … prevedeva sostanzialmente due tipologie di titoli abilitativi edilizi, il permesso di costruire e la denuncia di inizio attività (DIA, poi divenuta segnalazione certificata di inizio attività, SCIA), eliminando la figura dell’autorizzazione edilizia, prevista dalla legislazione in materia anteriore al 2001. Pur nel continuo evolversi dell’area riservata all’uno e all’altra, alla ricerca di sempre maggiori spazi di semplificazione procedurale in un ambito ritenuto di significativo rilievo anche per lo sviluppo economico del territorio (di cui è prova, da ultimo, nell’incisiva riforma della materia contenuta in particolare nell’art. 10 della l. n. 120 dell’11 settembre 2020, di conversione del c.d. “decreto semplificazioni”) esistono tuttavia dei limiti insormontabili che non consentono di derubricare gli interventi “maggiori” al titolo “minore”. Se pertanto il privato ha sempre la possibilità di optare per il permesso di costruire, laddove gli sarebbe possibile agire tramite semplice DIA (oggi SCIA) non vale il reciproco, per cui nei casi in cui è ritenuto necessario l’avallo esplicito dell’intervento, l’utilizzo di qualsivoglia altra forma di comunicazione, ivi comprese quelle nuove introdotte nel tempo (si pensi alla c.d. comunicazione inizio lavori – CIL – o comunicazione inizio lavori asseverata – CILA) appare sostanzialmente inutile. Esso, cioè, si palesa tamquam non esset ai fini della legittimazione dell’intervento, che resta abusivo. Al riguardo, la Sezione ritiene utile richiamare gli orientamenti della Suprema Corte relativi alla disciplina sanzionatoria ritenuta applicabile, laddove ha ribadito che integra il reato di esecuzione dei lavori in totale difformità dal permesso di costruire la realizzazione di interventi edilizi su un preesistente manufatto, comportanti modifiche alla sagoma ed incrementi di superficie o volumetrici, non essendo gli stessi inquadrabili nella categoria delle varianti minori o leggere, soggette a mera segnalazione certificata di inizio attività (cfr. ex plurimis Cass. Pen., sez. IV, 18 settembre 2019, n. 38611). L’utilizzo, infatti, di un titolo edilizio completamente inadeguato a “coprire” l’intervento realizzato, non elide la natura illecita dello stesso, sì da poter comunque scongiurare l’intervento sanzionatorio del Comune nell’ambito del proprio generico potere di vigilanza (art. 27 del TUE)» (cfr., in senso adesivo, Cons. Stato, sez. II, n. 2332/2024).

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Nello stesso senso, Cons. Stato, sez. II, n. 3645/2024 ha statuito che: «l’utilizzo di un modulo semplificato – recte, di uno strumento di liberalizzazione – per interventi che chiaramente richiedono un titolo diverso, in particolare il permesso di costruire, lo rende tamquam non esset, sicché l’attività realizzata sulla sua base non può che configurare un abuso edilizio. Con riferimento ai procedimenti dichiarativi in ambito edilizio, infatti, altro è il controllo sulla completezza di una pratica, ovvero sulla compatibilità dell’intervento con il vigente regime urbanistico, che il Comune è tenuto ad effettuare nei termini stabiliti dal legislatore per l’adozione dei provvedimenti interdittivi, sospensivi o conformativi, altro il potere di vigilanza, che consente in ogni momento di reprimere quanto realizzato travalicando totalmente l’ambito di riferimento del modello prescelto, cioè edificando di fatto sine titulo. Tale distinzione consente di conciliare le esigenze di certezza sottese alla stringente tempistica imposta dal legislatore per l’esercizio dei controlli, con quelle di tutela del territorio, che intersecano sovente altri interessi pubblici connotati da ancor maggiore sensibilità (si pensi all’ambiente, al paesaggio o al patrimonio culturale). Da qui la previsione contenuta sia nell’art. 19, comma 6 bis, ultimo periodo, proprio con riferimento alla SCIA in ambito edilizio, che richiama le “disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali”, sia nell’art. 21, comma 2 bis, della l. n. 241 del 1990, che in maniera analoga si riferisce alle “attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20”».


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