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Mancanza di agibilità in un locale commerciale: comportamenti del Comune
Come deve comportarsi il Comune nella specifica ipotesi?
di MARIO PETRULLI
Può talora accadere che, a seguito di un controllo, si scopra che un immobile ove viene svolta un’attività commerciale non sia provvisto dell’agibilità. Come deve comportarsi il Comune in questa ipotesi, posto che, per giurisprudenza costante, il titolo abilitativo all’esercizio di un’attività commerciale presuppone la regolarità urbanistico-edilizia dei locali interessati?
Secondo la giurisprudenza, il corretto esercizio dei poteri di autotutela da parte dell’amministrazione comunale richiede, in via di principio, la preventiva instaurazione del contraddittorio procedimentale con l’interessata ed una specifica richiesta istruttoria per consentire di integrare la documentazione a corredo del certificato medesimo, ai sensi degli artt. 24 e 25 del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001), a garanzia dei principi di certezza delle situazioni giuridiche nonché di buon andamento, di economicità e di proporzionalità dell’azione amministrativa.
Giova ricordare che l’art. 19, comma 4, L. n. 241 del 1990 – nel testo da ultimo sostituito dall’art. 6, comma 1, lettera a) della legge 7 agosto 2015, n. 124(4) – chiarisce che, l’amministrazione competente, decorso il termine di sessanta giorni dalla presentazione della S.C.I.A., “adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3, in presenza delle condizioni previste dall’articolo 21-nonies”. Quest’ultima disposizione precisa che:
“L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa”;
“Qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l’amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere, prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l’adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto termine, l’attività si intende vietata”.
È chiara quindi la scelta del legislatore, in presenza di irregolarità emendabili, anziché affidare alle amministrazioni competenti poteri interdittivi e sanzionatori, assicurare agli interessati la possibilità di sanare la propria situazione.
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