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Edilizia, la difformità dell'opera non è solo la modifica volumetrica
Per i giudici della Cassazione riguarda le caratteristiche essenziali di struttura, aspetto estetico, architettura e destinazione d'uso
La difformità di un manufatto dalla concessione edilizia viene riscontrata nel caso in cui le modifiche comportino un’alterazione del progetto originario nelle sue caratteristiche essenziali e nel caso in cui vengano realizzati volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto.
Lo ha stabilito recentemente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25191 del 23 giugno 2011, rispondendo ad un ricorso presentato dal committente dell’opera e dal progettista condannati dalla Corte di Appello di Trento per aver realizzato un’opera in difformità totale o comunque in variazione essenziale rispetto alla concessione edilizia in area soggetta a vincolo paesaggistico.
I giudici hanno rigettato il ricorso spiegando che “imotivo di ricorso comune ai due imputati, con il quale si è sostenuto che non sussisterebbe il reato edilizio contestato in quanto l’opera realizzata non rappresenta una variazione essenziale rispetto al progetto approvato, non essendoci stato aumento volumetrico, non è fondato perchè “la difformità totale di un manufatto dalla concessione edilizia si delinea allorché le modifiche comportino un’alterazione del progetto originario nelle sue caratteristiche essenziali di struttura, aspetto estetico, architettura, destinazione e, nel caso in cui vengano realizzati volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto, allorquando i volumi realizzati in eccesso costituiscano “un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”.
“Pertanto – sottolineano -, diversamente da quanto sostenuto nei ricorsi, la totale difformità non coincide solo con la modifica volumetrica del manufatto rispetto a quanto assentito”.
Secondo la Corte di Cassazione non può nemmeno avere fondamento l’asserita natura di variante non essenziale dell’opera rispetto al progetto di variante autorizzato, “in quanto tale tipologia di variante non solo non deve incidere sulle volumetrie, ma non deve alterare la sagoma dell’edificio. Come è noto la sagoma attiene alla conformazione planovolumetrica della costruzione ed al suo perimetro inteso sia in senso verticale sia orizzontale”.
Infine, quanto ai motivi proposti da entrambi gli imputati in relazione alla condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile (danni richiesti dal proprietario dell’immobile confinante), le argomentazioni offerte risultano ai giudici in parte generiche ed in parte infondate.
“Non è necessario – spiegano – che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l’azione dell’autore dell’illecito, essendo sufficiente l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia infatti costituisce una mera declaratoria juris da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione” .
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