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Consumo di suolo, le scelte sbagliate dei Comuni
Il Rapporto 2012 denuncia che in provincia di Milano in dieci anni è stata costruita una città grande come mezzo capoluogo meneghino
E’ stato presentato ieri presso la sede regionale di Palazzo Pirelli, il Rapporto 2012 sul consumo di suolo, esito di due anni di ricerca condotta presso il DiAP del Politecnico di Milano dal Centro di Ricerca sui Consumi di Suolo (CRCS), fondato da Legambiente e Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), grazie al contributo di Fondazione Cariplo e alla collaborazione di diverse istituzioni tra cui Regione Lombardia, Regione Toscana, Provincia di Lodi.
La nuova edizione del rapporto contiene un affondo sugli esiti territoriali delle scelte urbanistiche a livello comunale, ed esplora in particolare l’area centrale della metropoli lombarda, nelle province di Milano, Lodi e Monza e Brianza, grazie ai più recenti dati forniti dal repertorio geografico DUSAF sviluppato da Regione Lombardia.
“In Italia – segnalano i responsabili del CRCS – continua a mancare una adeguata contabilità degli usi e dei consumi di suolo, e ciò depotenzia fortemente qualsiasi politica di contrasto degli sprechi di una risorsa strategica qual è il territorio agricolo e forestale”.
“La mancanza di dati affidabili e aggiornati sugli usi del suolo impedisce alla politica di ‘vedere’ la gravità del fenomeno e di correre ai ripari – dichiara Paolo Pileri, docente del Politecnico di Milano e responsabile scientifico del rapporto – per capirci, è come se si volesse contrastare l’inquinamento senza disporre di una rete di rilevamento della qualità dell’aria.
Ma da quando abbiamo iniziato a sollevare il problema le cose hanno iniziato a cambiare, e oggi registriamo alcuni positivi segnali di attivazione istituzionale dai livelli centrali, con l’ISTAT che, su iniziativa della Commissione Ambiente del Senato, si candida a realizzare il monitoraggio nazionale degli usi del suolo: non possiamo che evidenziare l’importanza di questa novità, sperando che il Governo vi provveda rapidamente.
Occorre rapidità nel disegnare nuove, concrete (non teoriche) e coraggiose politiche sull’uso del suolo che, ricordo è bene ambientale e bene comune, e non può essere delegato esclusivamente alle decisioni degli 8092 comuni italiani, frammentati, deboli e scoordinati, i quali vivono il conflitto di interesse di una normativa che li premia se consumano”.
Le novità che emergono dal fronte istituzionale riguardano anche le regioni: è dell’inizio di quest’anno la sottoscrizione di un accordo tra tutti gli assessorati al territorio delle Regioni del Nord Italia (Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Friuli Venezia Giulia e province autonome di Trento e Bolzano) per condividere l’impegno alla riduzione del consumo di suolo e realizzare banche dati armonizzate e coerenti che forniscano esaurienti fotografie del fenomeno.
Inoltre Regione Lombardia lo scorso 28 febbraio ha sottoscritto una agenda (uso e valorizzazione del suolo) che impegna le diverse Direzioni Generali ad attivare programmi per la lotta al consumo di suolo.
Purtroppo però, a fronte del maturare di nuove sensibilità istituzionali, la fotografia effettuata dal rapporto continua ad essere impietosa: la buona terra italiana continua ad essere sepolta e cancellata da espansioni urbane, piastre commerciali, grandi e piccole infrastrutture.
Il rapporto evidenzia dati sconsolanti relativamente alla trasformazione del territorio negli ultimi dieci anni: in Provincia di Milano, ad esempio, dove si è consumato territorio prevalentemente agricolo al ritmo di 20.000 mq al giorno: per intenderci, è come se ogni dieci giorni scomparisse fisicamente il territorio da cui trae sostentamento una azienda agricola di medie dimensioni, in grado di produrre il frumento necessario per farci 150 tonnellate di pane.
Nell’intero decennio, il totale delle nuove urbanizzazioni forma un’estensione pari a una nuova città grande come mezza Milano.
Il suolo purtroppo sparisce a piccoli morsi che non fanno notizia, ma si possono misurare: è il caso dei comuni circostanti l’area Expo, un comprensorio tra i più urbanizzati della metropoli: se l’enormità del consumo di suolo di Expo fa giustamente notizia, nessuno finora è parso accorgersi che nei comuni immediatamente circostanti il sito espositivo una superficie agricola grande quanto quella di Expo viene consumata ogni anno.
“Il consumo di suolo è in primo luogo l’effetto di scelte urbanistiche la cui responsabilità è in capo ai comuni – ricorda Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia – per questo il rapporto punta l’attenzione proprio su questo livello amministrativo, fornendo uno strumento affinché ogni comune si doti di un proprio e coerente censimento dell’uso del suolo prima di assumere qualsiasi decisione: si tratta di una delle proposte contenute nel proposta di legge di iniziativa popolare contro il consumo di suolo, su cui abbiamo ricevuto consensi bipartisan, ma che da due anni giace nei cassetti del Consiglio Regionale, mentre i comuni non adempiono nemmeno agli obblighi di tutela previsti dalle norme vigenti”.
Il riferimento è in particolare l’art. 43 bis della legge urbanistica lombarda, che impone un onere maggiorato per le urbanizzazioni che determinano consumo di suolo agricolo: solo 178 comuni su oltre 1500 hanno recepito questa indicazione obbligatoria. Su tutti gli altri potrebbero fioccare denunce per danno erariale. Che ci sia bisogno di una sostanziale innovazione delle regole che consentono le trasformazioni urbanistiche è un’esigenza sollevata anche dall’INU.
“Occorre sfruttare la battuta d’arresto del mercato edilizio per riorientare le strategie del settore delle costruzioni: una legge nazionale che fissi il principio chiave che il suolo non va consumato e che invece bisogna investire sulla qualità dello spazio già costruito è diventata una esigenza indifferibile – dichiara Federico Oliva presidente nazionale di INU – anche se le competenze urbanistiche sono regionali, il livello nazionale è quello in grado di agire sulla fiscalità dei suoli, leva essenziale per spostare l’interesse degli investitori dai suoli liberi ai cantieri urbani, dove al contrario deve essere più facile avere accesso ad incentivi e semplificazioni normative”.
Fonte:Inu
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